Brano: Savoia, Vittorio Emanuele Ili
Da sinistra: Mussolini, Hitler, Goebbels, Hess, Vittorio Emanuele III e la regina durante la sfilata in onore idi Hitler a Roma (1938)
Anzi, Vittorio Emanuele fece sapere a Giovanni Amendola che non sarebbe intervenuto: « lo sono cieco e sordo. I miei orecchi sono la Camera e il Senato ». Una posizione, dunque, di pseudo conformità alla prassi costituzionale. ma sottilmente arcigna, stessuta di pignoleria e di realismo, alla stregua di un modesto burocrate cji stato. Siccome si trattava di un giudizio di appello, i liberaldemocratici gli imputeranno questa colpa più ancora della scelta compiuta nel fosco mattino del 28 ottobre.
Altre minori crisi sancirono la perdita di prestigio e di potere della monarchia: fu il caso della legge che investiva [...]
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Altre minori crisi sancirono la perdita di prestigio e di potere della monarchia: fu il caso della legge che investiva di poteri costituzionali il Gran Consiglio del fascismo (v.), chiamando fra l’altro quest’organo prettamente fascista a deliberare sulla successione dinastica; e poi, nel 1938, quando venne creata la carica di “maresciallo dell'impero”, attribuita alla pari a Mussolini e al re. Ma a questo punto, ormai vicino ai settantanni, Vittorio Emanuele si era come rinchiuso in sé stesso, lontano da ogni contatto con la gente, circondato dalle cerimonie di un regime per cui non aveva simpatia e che pure gli aveva procurato il titolo di « imperatore di Etiopia », a cui ben presto si aggiunse quello di « re d’Albania ». Tuttavia egli stimava ancora Mussolini e, nonostante il senso di distacco che nutriva per il suo fondo plebeo, sembrava attratto dalla sua “abilità”. Preparandosi l’impresa etiopica, era rimasto perplesso e ostile fino al suo viaggio in Somalia, e anche di fronte alla Seconda guerra mondiale, durante la “non belligeranza” (v.),[...]
[...]va attratto dalla sua “abilità”. Preparandosi l’impresa etiopica, era rimasto perplesso e ostile fino al suo viaggio in Somalia, e anche di fronte alla Seconda guerra mondiale, durante la “non belligeranza” (v.), il re non aveva nascosto di recalcitrare all’idea dell’intervento, per di più al fianco dei tedeschi.
Il distacco dal regime
Ormai vecchio, diffidente nei confronti del figlio Umberto (v.) che gli appariva inetto alla successione, Vittorio Emanuele si astenne dal sostenere attivamente lo sforzo della guerra. Nella coreografia del regime, egli sembrava ormai una figura di secondo piano.
La sua capacità di analisi e percezione l’avrebbe però condotto a una ripresa quasi paradossale di iniziativa, tessendo la congiura contro
il dittatore che stava portando il paese, e la stessa dinastia, alla sconfitta.
Da questo risveglio, nel silenzio di ristretti ambienti di corte, sarebbe scaturito il colpo di stato del 25 luglio (v.). Ma il re non si volle muovere se non quando vi fosse stata assoluta sicurezza di riuscita
e, per questo, a[...]
[...]non si volle muovere se non quando vi fosse stata assoluta sicurezza di riuscita
e, per questo, attese e colse l’occasione della seduta del Gran Consiglio del fascismo, in cui Grandi mise in minoranza Mussolini. Lo strumento e argomento tecnico usato dalla fronda fascista, ben presto esautorata e andata a pezzi, fu anzi
il ritorno al sovrano del comando delle forze armate, che lui stesso aveva ceduto a Mussolini.
Anche dopo il 25 luglio Vittorio Emanuele si tenne il più possibile distante dalle sollecitazioni degli antifascisti, che ora tornavano sulla scena più forti, sostenuti da molte buone ragioni, più uniti e radicalizzati di venti anni prima. Una volta nominato Badoglio alla testa del governo, egli sperava probabilmente di non dover troppo amputare l’opera del fascismo.
La fuga di Pescara
Il progetto di Vittorio Emanuele, più istintivo che politico, aderiva ancora una volta a uno schema di classe allora piuttosto diffuso, dopo il ventennio della dittatura, al vertice del mondo borghese italiano: un fascismo “moderato”, riconciliato col capitalismo occidentale e più organico alle tradizioni italiane, poteva sopravvivere. Ma anche questo disegno doveva presto tramontare e fu travolto all'atto deH'armistizio nella fuga dalla Capitale (9 settembre), in cui il re seguì Badoglio e fu accompagnato dal figlio Umberto (v. Pescara, Fuga di).
Per casa Savoia sarebbe stato un altro grave capo d’accusa. Si era posta in[...]
[...]tal modo definitivamente — mentre nel Nord si sviluppava la resistenza antifascista e antitedesca — la questione istituzionale.
Insediato il 10 settembre a Brindisi (v.), il re non volle sapere di proposte che contemplassero il suo ritiro, comunque formulate. Solo in seguito al maturare di nuovi elementi fu possibile sbloccare la situazione: avviato un nuovo e più largo governo Badoglio, col concorso dei partiti antifascisti, il 12.4.
1944 Vittorio Emanuele si impegnò ad affidare la Luogotenenza del Regno (v.) al figlio Umberto, a partire dal momento della liberazione di Roma. Tale impegno fu reso formalmente esecutivo il successivo
5 giugno.
Rimasto isolato in una residenza del Mezzogiorno, il vecchio re tornò a farsi vivo per l’ultima volta con un atto di abdicazione concertato col figlio ed emanato il 9.5.1946, quando il referendum istituzionale e l’elezione deN’Assemblea costituente erano ormai alle porte, per influenzarne i risultati. Fu l’ultima “scorrettezza”, neH’ambiguo tentativo di stornare un giudizio del popolo centrato sulla s[...]
[...] in una residenza del Mezzogiorno, il vecchio re tornò a farsi vivo per l’ultima volta con un atto di abdicazione concertato col figlio ed emanato il 9.5.1946, quando il referendum istituzionale e l’elezione deN’Assemblea costituente erano ormai alle porte, per influenzarne i risultati. Fu l’ultima “scorrettezza”, neH’ambiguo tentativo di stornare un giudizio del popolo centrato sulla sua persona e dì facilitare Umberto a conservare la corona. A Vittorio Emanuele non rimase comunque che un anno e mezzo di vita, che trascorse in esilio ad Alessandria d’Egitto.
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